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Repertoire

 

Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Die Kunst der Fuge BWV 1080

        

Konzert für vier Cembali, Streicher und Basso continuo A-moll BWV 1065 nach dem Konzert für vier Violinen, Streicher und Basso continuo h-Moll op. 3 Nr. 10 von Antonio Vivaldi   

 

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Con elettronica:

Nicola Baroni (1959)                             

Awakening per trio d’arpe, risonanze e sistema interattivo (2014) 

Brani acustici:

Mirko Ballico (1976)

Kindergarten Suite per 3 arpe e flauto (2015)

Beatrice Campodonico (1958)

Petite Bolero (2023)

Mauricio Dottori (1960)

Nubi grigie (2023)

 

Fabrizio Festa (1960)

Tre meditazioni (2015)

 

Alberto La Rocca (1967)

Serenata per Salomé (2012)

 

Massimiliano Messieri (1964)

Hot Strings II (2013)                     

Land (2014)

                                              

Mario Pagotto (1966)

Echi dalla notte (2014)

 

Francesco Pavan (1975)

Isle 4 (2014)

 

Nicola Sani (1961)

Seascapes VII (2014)

 

Claudio Scannavini (1959)

Hosiu (2014)

 

Carlo Tenan (1979)

Jeux de bleu (2016)

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Nuove opere commissionate a:

Marco Stroppa e Vahid Hosseini

dal Booklet del CD Adria Harp Quartet, ed. Tactus 2018, a cura di Giordano Montecchi: ​

Per un compositore, oggi, accostarsi all'arpa significa fare i conti con un immaginario alquanto ingombrante. Al tempo stesso, però, significa anche lavorare su uno strumento di straordinaria, caleidoscopica versatilità; moltiplicata in questo caso per quattro: un fantasmagorico strumento munito di quasi duecento corde e suonato da otto mani. I brani presentati ne sono la conferma. In essi è possibile cogliere volta a volta l'atteggiamento dei diversi autori nei confronti di questo ultramillenario retaggio, con la possibilità quasi di misurare il distanziarsi, l'estraniarsi, oppure il concedersi, l'immergersi nelle innumerevoli, possibili evocazioni di epoche, luoghi , cultura, modelli ideali. Per converso, il dislocarsi dei diversi brani musicali entro questo spazio simbolico, ne mette in luce anche l'antitesi ideale, cioè il nascondere o negare queste suggestioni, fino a rendere eventualmente irriconoscibile lo strumento, a cancellarne il carattere idiomatico, trasformandolo in un generatore di materia sonora inedita e, perché no, processata elettronicamente.

 

Il brano di Massimiliano Messieri, Hot Strings II, composto nel 2014, costituisce un saggio di organizzazione e poetizzazione di una medesima antichissima idea o cellula comune; un'idea che ci riporta a un sedimento ancestrale di cui sopra. Elabora, infatti, quel tetracordo che ha al proprio centro un intervallo più ampio di un tono (il sistema occidentale lo traduce nella seconda aumentata) e che apparenta in modo inconfondibile le diverse antiche culture musicali del Mediterraneo, dall'antica Grecia, alla musica ebraica , alla musica araba e ottomana. L'azione dei quattro strumenti genera una rigogliosa tessitura stratificata, con un susseguirsi roteante di ritmi e di incisi melodici che disegnano un ampio crescendo di concitazione.

Il mare è al cuore anche di Jeux de bleu (2016), il brano di Carlo Tenan, dal cui titolo filtra più di un’allusione a quel momento magico della musica francese (e moderna tout court) i cui due assoluti protagonisti, Claude Debussy e Maurice Ravel hanno totalmente ridisegnato l’immagine dell’arpa. Il travolgente arpeggio di apertura è lo spalancarsi di una porta, o forse un tuffo nell’ancora inesauribile féerie di questo universo poetico. Nel generoso, coinvolgente fluire della musica, in tessiture ora lussureggianti ora minimali, circola una schietta e stilizzata idea programmatica tripartita. Dapprima l’en plein air del mare, del vento, del sole. Quindi lo scivolare blando in una regione più intima, riparata, come di fondali marini, penombre, luminescenze, echi attutiti, memorie forse, o forse sogni. Infine il riemergere luminoso, come rinato, libero, volteggiante.

Awakening (2014) di Nicola Baroni è scritto “per quartetto d’arpe, risonanze e sistema interattivo” ed è in un certo senso il paradigma di quell’accostarsi all’arpa in modo “laico” descritto in apertura, con l’intento cioè di esplorarne la capacità di generare eventi e processi sonori, a prescindere dalla sua storia strumentale e poetica. La composizione rimanda all’ormai “classica” categoria dell’opera aperta e interattiva che si crea in tempo reale e la cui performance è ogni volta diversa. Non c’è partitura, ma solo prescrizioni figurali (note singole, arpeggi, ecc.) e un software che interagisce con gli esecutori e col live-electronics. Il quartetto è diviso in due coppie: due arpe fungono da “compositori”: le loro azioni generano suoni che il software trasforma istantaneamente in partiture inviate agli “esecutori” (le altre due arpe) i quali le leggono a prima vista. I loro suoni alimentano il live-electronics che viene a sua volta manipolato dai due “compositori”, generando un processo che si dispone secondo un’architettura essenzialmente tripartita.

 

Echi della notte (2014) di Mario Pagotto elabora un pensiero più astratto e materico. La potenzialità

del con-suonare arpistico è qui sfruttata appieno, spinta ai limiti della fisicità metallica dello strumento. Tutto il brano è come giocato su un dualismo che da un lato, vede un elemento oscuro, violento, in cui si manifesta e talvolta esplode l’energia compressa dell’acciaio teso e sferzante; dall’altro, un registro più aereo, vagamente apollineo, che a fasi alterne sembra contendere con quel gravame tellurico, in difesa di una luminosa, tenera fioritura melodica e timbrica. E alla fine è proprio questa materia lieve a vincere il confronto.

 

Hosiu (2014) di Claudio Scannavini ci riporta invece al cuore dell’orizzonte poetico e simbolico dell’arpa. Non a caso il titolo del brano viene dall’antico Egitto, vera e propria culla dell’arpa antica. Hosiu ha un duplice significato: “fascinazione dello sguardo” e “incantamento”. Ma non c’è nulla di esplicitamente esotico o arcaicizzante in questa musica, tutta pensata si direbbe nei termini di un ossimoro, o meglio di una concordia oppositorum. Negli intenti dell’autore la scrittura contraddice i topoi idiomatici dello strumento, con figure inconsuete come il ribattuto o la spiccata ritmicità. Ne risulta una pagina interamente costruita su una raffinata e cangiante stratificazione ritmica iterativa, che si apre con un’indicazione, anch’essa ironicamente contraddittoria: Meccanico evocativo. L’incedere “incantatorio” può suonare in effetti come omaggio alle arpe delle tradizioni orali, che sfruttano largamente le virtù propulsive delle corde. Per contro, il tessuto armonico, la polimodalità, le deviazioni improvvise, parlano decisamente un francese moderno. Quanto all’instancabile, cullante congegno ritmico è anch’esso un altalenante sottile gioco di contraddizioni, con figure irregolari che si materializzano, intorbidano il tactus (non di rado sviando simultaneamente l’armonia) e, come una sorta di dissonanza ritmica, generano una tensione che si risolve col ritorno a una rinnovata estatica pulsazione che si smaterializza infine nel Sospeso e risonante della chiusa.

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